Nell’antica Roma alle donne era vietato bere il vino, secondo una legge che veniva fatta risalire alla fondazione di Roma.
Pare, infatti, che fosse stato Romolo ad introdurla per primo. E questa origine mitica era tutt’altro che casuale: ricondurla al fondatore attribuiva alla legge un significato profondo e ne garantiva il rispetto da parte della cittadinanza romana intera.
Alla base di questa norma, che per la nostra mentalità risulta per certi versi incomprensibile, anche se non collocata fuori dal tempo, vi era la convinzione morale che il bere vino conducesse le donne direttamente all’adulterio: questa pratica era quindi volta a preservare la purezza e la castità femminili. Questo divieto non riguardava solo le classi abbienti, ma anche le donne appartenenti ai ceti più elevati.
Il controllo era effettuato mediante lo “ius osculi”, il diritto al bacio: ogni donna era obbligata a baciare in bocca, ogni giorno, i parenti maschi fino alla seconda generazione di cugini.
Questa pratica venne però abolita: la diffusione dell’herpes divenne infatti talmente vasta da portare l’imperatore Tiberio a vietarla, per salvaguardare la salute dei cittadini.
Bisogna comunque specificare che le donne potevano bere il vino “dulcis”, non fermentato, privo quindi di grado alcolico. Questi erano vini privi di “virus”, di sapore forte.
Interessante chiudere con una nota linguistica: “virus” riconduce alla radice latina “vis”, uomo. E per analogia indicava anche il seme maschile. Come dire che il vino alcolico appartiene ed è identificato unicamente nell’universo maschile dei Romani, anche nella sua forma grammaticale.